Film per la Scuola
Piccolo Grande Uomo: scheda del film
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HOLLYWOOD E LA RIVISITAZIONE DEI GENERI
Negli anni Sessanta il cinema americano entra in una CRISI economica (soprattutto a causa del riassetto produttivo e della concorrenza della televisione) seguita da una crisi culturale determinata dalla nascita di aree di opposizione (la contestazione studentesca, i movimenti giovanili, la nascita di nuove ideologie e nuovi stili di vita, il nuovo contesto politico internazionale).
Nasce allora una rivoluzione estetica, caratterizzata da:
- incremento delle produzioni indipendenti
- piccoli budget produttivi
- ricerca di un pubblico giovanile
- messa in discussione dei valori sostenuti dal cinema precedente
- attenzione alla politica e al costume
- costruzione di immagini di sapore documentaristico
- rinuncia allo studio di posa e ricerca di ambienti quotidiani
- ricambio delle leve registiche (Arthur Penn è proprio uno di questi nuovi registi)
- abbandono dello star system
- revisione ideologica dei generi classici.
Dal punto di vista della PRODUZIONE le majors (le grandi case di distribuzione: Paramount, Warner Bros., Columbia, etc.) decidono di:
- ridurre il volume di produzione (si passa dai 306 film prdotti nel 1970 ai 210 del 1976)
- controllare meglio la catena di distribuzione del film (la pubblicità e il marketing soprattutto)
- aumentare la propria presenza nel settore televisivo
- investire denaro in più settori collegati (non solo nel cinema insomma)
I GENERI subiscono profonde modifiche, soprattutto nei seguenti settori:
- revisione ideologica: ad esempio nel western si assiste ad un capovolgimento dei valori tradizionali (americani=buoni, indiani=cattivi) cercando di mostrare e comprendere le ragioni di tutti (ex. Soldato blu di R. Nelson e Piccolo grande uomo di A. Penn), e ad un aumento della violenza (Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah).
- aggiornamento iconografico: si lavora molto sul noir, nel quale si cerca di dare maggior realismo alle ambientazioni e maggior verosimiglianza alla psicologia dei personaggi (ex. I tre giorni del condor di S. Pollack, Il lungo addio di R. Altman)
- fusione tematica dei generi: nascono quelli che diventeranno i metageneri che ancora oggi conosciamo, sorti dalla commistione di più generi in un solo film. Ad esempio il film catastrofico mescola l’eredità del film d’avventura con il kolossal biblico-mitologico. Anche il nuovo cinema di fantascienza si serve dei generi classici intrecciandoli a piacere e con una certa ironia: Guerre stellari di G. Lucas è un misto di avventura, western, cartone animato, poliziesco.
ANALISI
Non è un caso che un film innovativo come questo cominci con un’intervista: il regista vuole sottolineare quella che è una personale reinterpretazione della storia del west, evidenziare l’aspetto documentaristico del racconto e accentuare la verità di ciò che mostra. Cosa di più vero che non la testimonianza di un uomo che ha vissuto realmente gli eventi? Il vecchio Crabb racconta la vicenda agli occhi di un giornalista sbruffone che crede di sapere tutto solo perché l’ha letto sui libri. Il racconto dell’anziano testimone mostra come spesso la verità non sia una e come ragione e torto spesso si confondano.
Il viaggio di Crabb è un’avventura irripetibile dell’epopea della conquista del west, un viaggio che ricorda i peregrinaggi di Ulisse narrati da Omero, ma raccontati con spirito e senso del meraviglioso tipicamente americani, sulla falsariga dei Tom Sawyer e degli Huckleberry Finn del grande Mark Twain.
Piccolo grande uomo è anche una sintesi dei temi immortali del western e delle sue figure più celebri: assistiamo alla vita e alla morte dello splendido pistolero Wild Bill Hickock; vediamo Bufalo Bill che fa strage di bisonti; riviviamo ciò che avvenne, nel 1876, su quelle fatali Colline Nere dove il folle Generale Custer si fa follemente massacrare.
Tutta la leggenda del West viene dissacrata, elemento dopo elemento: il sarcasmo è la chiave di lettura del film: la santità della famiglia dei pionieri con i i grandi ed eterni amori è messa in ridicolo dalla figura della moglie del reverendo Pendrake tutt’altro che morigerata; le donne rapite dagli indiani magari si trovano bene nella nuova situazione; i pistoleri sono ridicoli manichini (imperdibile il primo incontro tra Wild Bill Hickock e Jack che cercadi imitarne i gesti), i soldati balordi e incapaci. Anche gli indiani sono rappresentati con affettuosa ironia: non tutti sono prodi guerrieri, vi sono anche i gay (perchè non ci dovrebbero essere? A differenza dei bianchi gli indiani non maltrattano ma stimano i modi femminili di Gatto Nascosto), a volte si lasciano dominare dalle loro mogli, vi sono anche dei contestatori fra di loro (l'uomo all'incontrario), hanno una loro umanità, le loro astuzie, le loro debolezze.
Particolare rilievo assume la figura di Custer, vera e propria distruzione dell’alone leggendario che lo circonda: il generale non è un prode guerriero e un eroico comandante ma un ubriaco sbruffone piano di sé, che insegue la gloria senza ragione, sacrifica gli uomini per capriccio e non ammette mai di avere torto.
Le tante verità di cui è intessuto il film hanno una forza maggiore proprio perché, in tutta la prima parte del film, Jack le attraversa con gli occhi dell’ingenuo. Con lo sguardo del Candido di Voltaire, Jack vive sulla sua pelle l’idiozia, la bizzarria, l’incongruenza dei mille aspetti della vita: subisce l’ottuso perbenismo del reverendo Pendrake e il moralismo tutto esteriore di sua moglie; è complice dei raggiri di Merriweather nei confronti dei bifolchi del west; vive la vita tesa del pistolero; veste i panni del bravo commerciante e del marito perfetto, quelli del soldato e addirittura ha una parentesi eremitica. Solo nella seconda parte del film Jack smetterà di subire l’influenza delle persone e prenderà decisioni mature: aiuterà Raggio di Luna a sopravvivere col figlio, cercherà di uccidere Custer, rinuncierà ai “favori” della Signora Pendrake e ad una nuova truffa proposta da Merriweather.
Un ultimo cenno merita il romanzo da cui il film è tratto: nonostante tutte le trovate umoristiche, è impeccabile e, specie nel finale durante la battaglia del Little Big Horn, appassionante per la fedele ricostruzione dei personaggi (scout, guide indiane, ufficiali) e per tutti i momenti della battaglia, con i movimenti dei plotoni e degli indiani, fino all'ultima resistenza sulla "Collina di Custer". La follia di Custer, circondato dagli indiani, in vana attesa del soccorso di Benteen, è ovviamente immaginaria, ma nel romanzo è molto più circoscritta e narrata da Berger con fine psicologia. Lo scrittore tesse la sua storia immaginaria sulla tela solida della storia reale, ricostruendo, là dove non esistono testimonianze, un molto presumibile finale della sanguinosa battaglia e includendo molti particolari realistici (le cavalcature dai colori diversi a seconda dei plotoni, i cavalli abbattuti per fare barricata contro il nemico, etc.) che rendono avvincente e credibile la fine della sua storia. Diversamente si comporta il regista Penn. La battaglia del Little Big Horn è una sorta di farsa con Custer che dà segni di squilibrio per quasi tutta la pellicola. Probabilmente questa versione farsesca della battaglia, è stata scelta di proposito dal regista per smitizzare ulteriormente il mito del generale e quello della storia del west.
IL REGISTA
Arthur Penn è uno dei registi che contribuiscono in modo determinante al rinnovamento del cinema americano degli anni sessanta. Nato a Filadelfia nel 1922, delude il padre, che lo avrebbe preferito orologiaio, e intraprende la carriera teatraIe fondando un piccolo gruppo con l’amico Fred Coe. Si diploma in recitazione e poi prosegue gli studi in Italia. Nel 1951 torna di nuovo negli Stati Uniti, a New York, dove comincia a lavorare in televisione arrivando nel 1953 alla regia (nel frattempo era stato anche allievo all’Actors Studio, senza trascurare l’attività teatrale). In tre anni dirige più di duecento teleplays per la Cbs. Nel 1957 è a Hollywood, proprio per Furia Selvaggia: Billy Kid. L’impatto non è dei più felici: la scoperta di non aver alcun potere sul montaggio definitivo del film lo spinge, assieme all’insuccesso commerciale dell’opera, a tornare alla Tv e al teatro, dove mette in scena The Mirade Worker (1959), che ottiene un grande successo e gli riapre le porte di Hollywood: Penn infatti ottiene di portare la storia sul grande schermo e, con Anna dei miracoli (1962), arriva il suo primo vero successo cinematografico (Anne Bancroft, la protagonista, ottiene l’Oscar per la miglior interpretazione femminile). Negli anni successivi la carriera di Penn avrebbe visto alternarsi film di scarso successo a opere di grande impatto, come Gangster Story (1967) che segna la nascita della cosiddetta New Hollywod, il fondamentale rinnovamento tematico, stilistico e produttivo che si realizza fra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta. Penn mescola nel film dramma, spirito umoristico, riflessione sociale e scene di violenza poco rappresentate fino ad allora nella cinematografia statunitense per ridefinire i miti americani del passato. Penn torna al western con Piccolo grande uomo (1970), un grande successo che contribuisce all’affermazione di Dustin Hoffman e offre una rilettura atipica di momenti e figure significative dell’epica della frontiera, da Wild Bill Hickok alla battaglia di Little Big Horn.
Nel poliziesco Bersaglio di notte (1974) e nel western Missouri (1975) prosegue nell'opera di smitizzazione dei “generi” hollywoodiani. Tra i film successivi ricordiamo Target scuola omicidi (1985), Omicidio allo specchio (1987) e Il Ritratto (1993).
Le sue pellicole più riuscite trattano con arguzia dei ruoli di chi conduce una vita da escluso, degli outsider, di chi si discosta volontariamente dalla potenza distruttiva della cultura americana ma ne rimane comunque inevitabilmente influenzato